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Emily in Paris di Netflix: non è di concetto ma l’ho amata lo stesso

E’ inutile negare, sono colpevole: da mesi non consiglio nemmeno l’ombra di una serie tv. Il panorama telefilmico dell’ultimo semestre non mi ha entusiasmato neanche un po’, tant’è che bazzico su Netflix cercando di nutrirmi con serie iniziate secoli fa tipo Jane the Virgin o Grace & Frankie (che mi piacciono ma che non mi ossessionano) e per il resto me la cavo con l’ennesimo rewatch di Desperate Housewives. Il problema di tutto ciò che di nuovo cerco di iniziare senza arrivare alla fine è sempre e solo uno: raramente queste novità riescono a farmi affezionare ai personaggi. È di questo che ho bisogno al momento, di una serie fresca, senza eccessivo concetto, rapida ma capace di soffermarsi su ciascuno dei personaggi principali. In pratica desidero degli amici immaginari. Ecco, Emily Cooper, dopo i dieci episodi di Emily in Paris (opera di Darren Star), è una mia amica immaginaria.

 

La trama di Emily In Paris

Semplice. Diretta. Come se fossimo nel 2010.
Forse è questo che mi piace così tanto di Emily in Paris: mi ricorda i tempi in cui impazzivamo per Serena Van der Woodsen spinta nelle fontane (tra l’altro di Parigi) da Blair Waldorf.
Emily è un’americana sbarcata a Parigi per uno scherzo del destino, o forse per uno scherzo del marito della sua capa, che resta incinta e non può accettare un lavoro nella capitale francese, passandolo ad Emily. Di lì in poi è tutto un susseguirsi di stereotipi sulla Francia raccontati tramite gli occhi di una che si sveglia alle sei per farsi 10 km di corsa convinta di riuscire a resistere al profumo di pain au chocolat per strada. E niente, i francesi sono un popolo di antipatici, la gente urina in orinatoi a lato della Senna, chiunque la maltratta perché non conosce la lingua ed Emily è innamorata di tutto questo. Dettaglio dimenticato ma fondamentale: tutti i ragazzi che incontra sono boni. Sempre per quello che dicevo prima, non è una serie concetto.
Ménage à trois, baguette e voulez vous coucher avec moi, in Emily in Paris c’è tutto. Anche riferimenti a Gossip Girl e Il Diavolo veste Prada, se vogliamo dirla tutta.

 

Lily Collins

Un paragrafo solo per lei perché se lo merita.
Lily Collins non è mai stata una delle mie preferite semplicemente perché sono ignorante e non mi sono praticamente mai approcciato a suoi lavori, se togliamo cose random che nemmeno lei sa di aver fatto tipo Biancaneve con Julia Roberts, ma posso dire con fermezza che dopo questi dieci episodi non ripeterò più l’errore. E anche che grazie a lei e Perrie Edwards ho sviluppato un’attrazione fatale per le sopracciglia folte.
In Emily in Paris Lily è riuscita a non farmi odiare il classico personaggio che mi viene naturale odiare solitamente: la protagonista che vive nel mondo delle favole, convinta che gli unicorni sappiano volare anche controvento e che la pioggia sia formata dalle lacrime delle fate. Lei è effettivamente così ma è impossibile non volerle bene.

In definitiva, Emily in Paris è una serie da vedere senza pretese, divertendosi e assaporando i fasti di una serie dallo stile un po’ anacronistico. Buona visione!

-D

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