Non avevo grandi aspettative per questo come back con Norman Fucking Rockwell neanche dopo aver ascoltato il singolo apripista Mariners Apartment Complex – che amo – soprattutto per come erano andate le cose con Lust for Life: mi ero preparato al peggio. Sapendo poi che Jack Antonoff, produttore di Reputation di Taylor Swift e Melodrama di Lorde, aveva preso il comando come unico produttore, avevo paura che ne sarebbe uscito fuori un prodotto prettamente pop, togliendo tutto quello che contraddistingue l’unicità di Lana.
Dopo una pausa dai riflettori che ci ha fatto chiedere che fine avesse fatto, senza uno straccio di promozione adeguata al valore del progetto e fregandosene di quello che i manager le avevano consigliato di fare dopo essersi trovati davanti una traccia lunga 10 minuti (Venice Bitch) da far uscire come secondo singolo, Lana ci è riuscita di nuovo. Vi spiego in breve i tre perché del caso: sa quello che vale (e che i fan sono disposti ad aspettare inconsapevoli di quello che stia realmente accadendo dietro il silenzio), sa come far arrivare la sua arte al pubblico (senza un marketing plan da rispettare a tambur battente e senza una promozione adeguata) e sa che tutti noi, anche tu che stai leggendo (se stai leggendo), avevamo un bisogno innato di quella dannata traccia da 10 minuti per completare il nostro ciclo vitale in pace con l’universo.

Norman Fucking Rockwell! è l’album che tutti noi ci saremmo meritati dopo Ultraviolence e qui mi viene da fare dei paragoni da bravo smanettone: NFR è vulnerabile nelle lyrics come Ultraviolence ma rifinito nella produzione come Born to Die, è un urlo in piena faccia che ti schiaffeggia con la delicatezza di una carezza, è come risvegliarsi da un coma durato anni e ritrovarsi in paradiso.
Chi pensa che non sia un album politico sbaglia di grosso, certo, non siamo ai livelli di Lust for Life, ma l’outro di The Greatest e la cover del progetto in primis con una Lana in pieno oceano che abbandona una west coast in fiamme la dicono lunga.
Per la prima volta in 14 anni di carriera, se vogliamo contare il periodo in cui si faceva chiamare con altri stage name, Lana abbandona l’iconografia americana a cui ci aveva abituato. È passata dalla descrizione minuziosa degli uomini che ha amato alla consapevolezza del proprio io, di quello che è e di quello che sa di volere.
C’è del genio dietro a tutto questo che si nota non solamente nel cambio di rotta restando comunque fedele al proprio sound ma anche nella scelta melodica, nei dettagli della stratificazione musicale, nei testi che se sezionati come un organo durante un’operazione chirurgica fanno intravedere una parte dell’artista che non avevamo mai visto o ascoltato fino ad oggi.
Viene da pensare che il ragazzo che abbraccia nella copertina dell’album – tale Duke Nicholson, nipote dell’attore e regista Jack – sia solamente un accessorio per confermare la sicurezza ritrovata, sicurezza che trasuda in ognuna della 14 tracce presenti. In Norman fucking Rockwell, la traccia d’apertura, chiede al suo uomo di essere dipinta nella sfumatura di blu che più le si addice, in Mariners Apartment Complex ha la prontezza di gridare “I’m your man“, in Fuck it I love you ammette tutti gli errori commessi nel passato ma non c’è più la paura di confessare apertamente il proprio amore, per arrivare a California nella quale sprona il proprio uomo a non mostrarsi più forte di quanto sia come a sottintendere che lo è lei adesso per entrambi. Proprio California è la traccia che mi ha fatto collegare questo progetto a Ultraviolence, a Cruel World nello specifico e a quella dannata voglia che decanta di abbandonare la California per tornare nella sua amata New York da brava brooklyn baby. Mentre la successiva, The Next Best American Record, è la più vicina per sonorità e produzione a Born to Die, una National Anthem in incognito soprattutto nell’attacco del ritornello e un proseguo a Video Games con quel “it’s you” all’apertura del bridge.
Love Song, Cinnamon Girl e Happiness is a butterfly, la tripletta che abbiamo avuto il piacere di ascoltare in anteprima sul profilo Instagram di Lana mesi prima dell’annuncio del rilascio di NFR quando l’album non aveva ancora un titolo confermato, sono le canzoni più vulnerabili dell’album, le stesse che mi hanno aperto gli occhi e che mi hanno fatto capire che c’era qualcosa di più dietro queste note accompagnate da sinfonie orchestrali.
Norman Fucking Rockwell! come qualsiasi altro studio album della Del Rey, va ascoltato tutto d’un fiato, per quei 70 minuti consecutivi, traccia dopo traccia. Se si resta indietro è come aver saltato un capitolo del proprio libro preferito, è come aver viaggiato per chilometri senza essere mai arrivato a destinazione. La forza di Lana risiede nello storytelling, nella capacità di riuscire a raccontare la nostra vita più che la sua senza neanche rendersene conto.
-Nic.